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Title: Carlo Sabbadini, Organaro  •  Size: 9823  •  Last Modified: Wed, 02 Jun 2004 14:00:09 GMT
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TITLE
Carlo Sabbadini, Organaro
DATE
24th may 2004
MEDIA
essay
SIZE
654 words, 4008 characters
COPIES
one
EDITION
-
PDA
-
MADE IN
bologna, italy
PRICE
priceless
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DESCRIPTION

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www.stefanopasquini.net
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© Stefano Pasquini 2004
Carlo Sabbadini, Organaro

Tre cose imparo su internet su Carlo Sabbadini: che due anni fa aveva 54 anni, che ha tentato di cancellare il suo indirizzo email
carlo.sabbadini@katamail.com dalla mailing list della linux di Torino, e che era un organaro attivo a Parma nella seconda metà del XVI secolo. Addirittura ha costruito l’organo di Santa Maria della Steccata di Parma, ma non quello che c’è adesso, quello che c’era prima.
Io non ho mai visto Carlo Sabbadini costruire degli organi, ma sono abbastanza convinto che sia in grado di farlo, come posso benissimo immaginarmelo nella veste di wizard di linux di fronte ad un computer. Per quel che riguarda la sua età, bè, non importa nulla.
Quello che importa è la sua pittura, la pittura che si lascia dietro, la pittura che attornia il suo piccolo studio di via Carteria. 140 ritratti come paesaggi. Teste come alberi di legno, ma hanno tutte lo sfondo rosso? No, alcuni hanno lo sfondo giallo. Uno è Guido, lo riconosco, la sua espressione è colta colta. Ma sono tutti poi un po’ strani, con questi gesti di segno colorato, un po’ liberatorio un po’ costretto nel formato – punto 1? – di questi ritratti. E queste lettere che vagano in giro? Essendo Sabbadini soprattutto poeta – suo malgrado – immagino che tutte assieme formino un rebus che un Bartezzaghi del tremila decifrerà per scoprire che significava un vaffanculo divertito.
Mi piace l’atteggiamento di Carlo Sabbadini. E’ libero, molto più libero di tanti giovani pittori del giovedì. Adesso forse bisognerebbe scrivere un saggio critico serio, ma come faccio, sapendo che nell’ultima pagina c’è un salame? Io, che sono vegetariano?

Ci sono elementi abbastanza particolari in questa enorme serie di ritratti. Innanzitutto spesso queste teste non hanno corpo né collo. Vagano centrali in questo spazio rossastro, però studiato affinché non sembri sangue, bensì un rosso un po’ Fiat anni ’60, sporco dei ricordi di Schifano. E le lettere, che ancora non abbiamo decifrato. CCBB, BBPP, FBIIBB. Poi, la cornice. Non proprio una cornice: quattro segni di matita polacca, generalmente bianca o azzurra, insomma, un qualcosa che contrasti abbastanza con lo sfondo. Allora? Mi sembra di essere vicino alla scoperta dell’elemento chiave di questi quadretti, da lui definiti
paesaggi mentali. La prima impressione è che questa cornice sia il taglio del fotografo, del grafico. Qui è dove l’immagine deve finire, io te lo faccio vedere, così che un pochino anche il tuo cervellino lavora e fa un minimo di sforzo in quello che non sembra altro che un veloce ritratto. Non basta. Queste quattro linee, quattro pareti divisorie, sono il radar del soldato americano quando sta per colpire il civile, sono le quattro dita del regista che ha scoperto il personaggio per un remake di Amarcord, sono il simbolo della piccolezza umana (maschile, sia ben chiaro) che sempre ha bisogno di suddividere tutto, catalogare e dare una spiegazione plausibile a ciò che non ha bisogno di essere spiegato, perché non ha bisogno di essere capito. La critica d’arte ha il compito di aprire il pensiero, di porre dei quesiti, di mettere le cose in discussione, non di chiudere il discorso con delle difficili risposte. Allora il discorso non si chiude qui per Carlo Sabbadini, in questo parlamento di ominidi pressoché sviluppati la cornice è quella delle figurine Panini. Le figurine Panini di un’umanità minore. Ed eccolo lui, in mezzo agli altri. Sabbadini non giudica a priori, come Sartre prima di tutto ci si mette in mezzo, braccia contro braccia, spalle contro spalle. Allora eccolo alle volte raccolto, alle volte in uno sguardo abbassato meditare la sconfitta dell’essere umano, alle volte orgoglioso nella speranza di una piccola ripresa, un piccolo cambiamento.
Mi chiedo quanto sia visibile l’ironia di una operazione come questa, una volta che il lavoro è installato e il parlamento ti guarda dall’alto in basso, e non sei più tu, lo spettatore, a giudicare.
Il segnale della riuscita si vedrà solo nel primo sguardo.