Mostra personale di Stefano
Pasquini
L’opera
di Pasquini sembra farti raggiungere una dimensione aperta, rendendoti
disponibile a riprendere l’avventura dell’arte senza nessun contatto con il tuo
passato.
E’
uno sforzo clandestino, quello che Stefano Pasquini usa per ritrovare la sua
memoria artistica e per poi allontanarsene. In questa società di grandi e
difficili migrazioni sociali, l’opera di Pasquini cerca di dimenticare le sue radici,
per identificarsi in un nuovo paesaggio urbano; di vivere in un equilibrio
vuoto e solo.
Il suo atteggiamento è quello di
abbandonarsi ad un desiderio di fragilità contemporanea: l’opera soffre
questa’instabilità politica e sociale quotidiana e dichiara la sua difficoltà.
Vuole morire. Divenire memoria. Non esistere in quanto tale.
La
speranza che queste bandiere si riapproprino di un vento come di una terra è
impossibile; esse sono sole. Amano comunicare la loro leggerezza come un’Aria
di Confine che attende di essere posseduta da una terra prescelta.
La libertà di questi lavori sta
nella loro debolezza e precarietà, è senza futuro: sospesi in un vuoto d’aria,
mantengono una loro religiosità morale nei confronti della vita che se ne va
via.
L’immagine di paesi lontani e vicini scorre sulle pareti in una
dimensione filmica di paesaggio che non vuole dichiararsi. Tutto il mondo è
qui, siamo vicini, sembrano sussurrare le sequenze fotografiche di Stefano
Pasquini. La volontà è sempre quella di trovare nei luoghi qualcosa di comune,
di vicino a casa. Rompere le distanze, amare le presenze, studiare le assenze,
vivere un montaggio libero per creare un altro paesaggio che si allontana da
una terra all’altra per respirare un’Aria di Confine.
La
scultura è una meta ideale dell’uomo artista, è un punto fermo, una pausa; è
creare, più della pittura, per via di una tridimensionalità che nasce e
diventa. L’opera scultorea di Pasquini sorveglia gli altri linguaggi
all’interno della mostra, sussurra nello spazio, lo nasconde, lo cambia: è la
vera testimone della galleria. Un ombelico di gesso bianco e una testa fasciata
da pelle nera si collocano e si nascondono per dare un’idea di scultura e di
paura, nei confronti del tempo che storicamente appartiene alla forma nella sua
Aria di Confine con lo spazio.
Il
soggetto si realizza di getto, è scelto dall’autore, filmato e riversato su una
cassetta con l’aggiunta di una canzone che fa da colonna sonora. L’evasione
dalla dimensione di un qualsiasi lavoro di montaggio, crea nell’operare di
Stefano Pasquini una consapevolezza d’azione che deve tracciare un percorso di
sviluppo dell’opera-video. La dimensione che si ha, è quella dei propri occhi
che guardano fuori della finestra, è un’immagine vera, secca: parla da sola. Il
rapporto con il mondo rientra sempre nell’esercizio d’elaborazione di un
ricordo; l’inquadratura e il suo svolgere ritmico porta il lavoro video ad una
riflessiva Aria di Confine con la poesia.
Questa
mostra vuole dare un’idea di confine dello stato delle cose; è un insieme di
passioni e contraddizioni nei confronti della vita, l’artista vuole essere il
testimone senza prove di queste vicende e lasciare il respiro al pubblico che
assorbe l’arte e se ne va con quello che gli rimane di un’Aria di Confine