L'ECCEZIONALE E' QUI

 

Una chiaccherata sportiva con Franco Vaccari a cura di Monica

Carrozzoni, Alessandro Elia Greggio e Stefano Pasquini

 

 

Franco  Vaccari e'  un mito.  E' il  Duchamp italiano,  il padre

spirituale  di una intera generazione di artisti concettuali. E'

una  cosa assolutamente sbalorditiva scoprire  che si veste come

un normale  essere umano, sentirlo  parlare di fisica  pura e di

pappagalli con tanta naturalezza e  del  suo  lavoro  con  tanta

modestia, senza mai un minimo accenno di arroganza, cosi' tipica

di  tanti artisti di successo.  "Io prendo materiale considerato

basso  poi lo riscatto",  dice "per esempio,  nella Biennale del

'72,  ho usato la Phootomatic, quella delle foto per le carte di

identita'. Questa macchina  ha la  fama di  fare le  piu' brutte

fotografie possibili.  Io la porto  in un ambiente  dove c'e' il

massimo   dell'estetizzazione  e  la  macchina  viene  promossa,

diventa una macchina che fa fotografie d'arte."

 

"Nel  '66 avevo pubblicato un libro intitolato "Le Tracce", dove

ho presentato  graffiti e scritte sui  muri come poesia trovata,

poesia anonima, e, nel 1971, un altro su un viaggio nell'Albergo

Diurno Cobianchi, probabilmente  il  piu'  desolato  albergo  di

Milano...anche  qui  c'era  un  materiale  che  veniva  promosso

attraverso uno spostamento di contesto."

 

MC: "Tu credi che  questa sia  una voglia  di fango,  perche' al

fango si ritorna?"

 

FV:  "Non e' una voglia di fango, e' un gioco di polarizzazione.

Se  tu prendi un materiale convenzionalmente considerato basso e

lo estetizzi, giocando  su questa  differenza di  potenziale, ne

ricavi   energia. Un  po' come  nell'alchimia, dove  la "materia

prima"  per la fabbricazione dell'oro era la pietra, e, a volte,

gli  escrementi. C'e' sempre una  trasformazione di qualcosa nel

suo opposto."

 

SP: "Com'e' nata  questa idea del  Bar Code per  la Biennale del

1993?"

 

FV: "Mi  si  e'  presentata  la  possibilita'  di  esporre  alla

Biennale  dopo diversi anni che mancavo. Questo ha rappresentato

per  me   un   problema   paragonabile   alla   risoluzione   di

un'equazione di grado  molto elevato,  con tante  variabili; fra

l'altro  dovevo  metter   in   evidenza   il   legame   con   le

partecipazioni  precedenti, piuttosto  distanziate nel  tempo, e

nello  stesso tempo non  tradire gli interessi  piu' recenti che

avevo avuto in campo artistico.

Le mie partecipazioni  precedenti  appartenevano  a  quelle  che

avevo definito "esposizioni in tempo reale".

A partire dal  1989, avevo  lavorato sul  "codice a  barre", che

suscita  l'idea di codice a sbarre, di codice penale e, dato che

in inglese si dice "bar code", ho pensato di allestire un vero e

proprio  bar; il BAR CODE. Forse  per una questione di assonanza

mi  e' venuta in mente Silvia Baraldini, condannata in America a

43 anni  carcere per aver  fatto qualcosa che  in Italia avrebbe

comportato  il minimo  della pena.  Questa pena,  che avvertiamo

come  eccessiva, non  deve essere  vista come  il frutto  di una

volonta'   punitiva  quanto,  come  effetto   di  un  codice  di

interpretazione della colpa  diverso dalla  nostra. Il  BAR CODE

diventa cosi' il BAR del CODICE.

I  visitatori,  per  l'attenzione  rivolta  a  questo  problema,

(presentato con  un'opera di  non grandi  dimensioni all'interno

dell'ambiente),  ricevevano qualcosa in  cambio: la possibilita'

di bersi  un buon caffe'. Nelle  mie esperienze precedenti avevo

notato che  la Biennale  e' faticosissima  da visitare,   e rari

sono i  posti dove riposarsi.  Cosi' mi sono  preoccupato che il

mio  ambiente fosse  accogliente, dove  le cose  avvenissero sul

serio,   si  consumasse  sul  serio,  e  ci  fosse  un'autentica

possibilita' di incontro.

 

MC: "Franco, tu credi a un'esistenza dopo la morte?"

 

FV:  Qualche tempo fa a Modena c'e' stata una mostra sui gemelli

Castore  e Polluce, una mostra ben organizzata. Nel visitarla ho

provato  una grande  emozione che  mi ha  fatto pensare  di aver

sfiorato la comprensione  di questo  mito. Il  sue senso  e' che

l'amore  e' piu' forte della morte. Non c'e' eternita' che tenga

a paragone  di un  amore autentico,  tanto e'  vero che  si puo'

barattare l'eternita'  per  un  ricongiungimento  con  l'oggetto

d'amore.  Lo trovo un mito assolutamente straordinario. Dimostra

che l'hic et nunc, il nostro vissuto, se vissuto fino in fondo,

non ha bisogno dell'eternita'. L'amore fa senza la trascendenza.

 

SP: "Come  la vedi questa  nuova ondata di  artisti che lavorano

col computer?"

 

Questo mi  interessa, perche' e' come  un bimbo piccolo. Chissa'

che ne sara' di lui! Il computer e' un mezzo che non domino. Nei

suoi confronti   sono un  puro spettatore.  I computer  sono per

l'informazione  quello   che   le   autostrade   sono   per   la

circolazione. Una  volta, quando   si andava  a piedi,  c'era un

ramificatissimo complesso  di  strade  che  vivificava  come  un

enorme  sistema  venoso  tutta  l'Europa  e,  percorrendolo,  si

facevano esperienze autentiche. Oggi le autostrade sono i luoghi

dell'identita' sospesa;  l'importante e'  arrivare da  casello a

casello nel  minor tempo possibile,  e questo e'  un tempo morto

dove   le   uniche   possibilita'   di   esperienza   (ingorghi,

rallentamenti, incidenti) sono negative.

 

MC: "Tu  sei laureato in  fisica, ma quento  e' collegata l'arte

alla fisica?"

 

FV: "E' collegata in  una  dimensione  di  follia.  Io  mi  sono

interessato  alla fisica pura, la  fisica sperimentale. Nel fare

questo tipo  di studio sono andato un  po' contro la mia natura,

perche'  la  fisica  teorica  richiede  una  predisposizione  al

calcolo che io ho solo in parte. Bisogna saper padroneggiare una

struttura simbolica legata  al  calcolo,  l'apprendimento  della

quale richiede una  disciplina  tutta  particolare.  E  poi  ero

distratto da interessi confusi,  ma  insistenti,  per  il  mondo

dell'arte. Comunque mi capita ancora  di  essere  preso  da  una

ossessione  e di pensare per due o  tre giorni ad un problema di

matematica. Pero' al giorno d'oggi bisogna essere all'interno di

certe strutture, altrimenti  e'  tempo  sprecato.  Non  e'  piu'

pensabile un fisico che,  da solo,  si metta  a tavolino.  O sei

all'interno  dei grandi centri di ricerca,  o e' come cercare di

fare arte con l'uncinetto.

 

C:  "Mi sembra che tu cerchi di trovare nell'arte un qualcosa di

utile. Per te l'arte e' utile?"

 

FV: "Si',  e' utile  come utile  e' tutto  quello che  nasce dal

gioco  disinteressato dell'immaginazione.  Te ne  accorgi subito

quando  vai in  un paese  dove la  ricerca artistica  e' rimasta

bloccata,  come in  Russia. L'arte  e' cio'  che tiene  aperti i

discorsi, altrimenti i discorsi e le idee implodono, comprimendo

la capacita' di  pensare e  di vedere  delle persone.  L'arte e'

come  una specie di  energia antigravitazionale che  si oppone a

questa implosione e  continuamente apre  strade per  dire parole

nuove, per  vedere in modo nuovo.  L'arte, pero', puo' diventare

un  pretesto ed essere utilizzata, nei fatti, come uno strumento

di controllo. Per  esempio, in  Italia sono  trenta anni  che la

situazione  artistica e' bloccata dall'Arte Povera. Il risultato

e' che  l'arte italiana non e' mai  stata cosi' povera in nessun

altro  periodo  della  propria  storia.  Io  credo  che  il  suo

prestigio, tra  le due  guerre, fosse  enormemente piu'  alto di

quello  di adesso. E' vero che i poveristi hanno fatto mostre in

tutto il mondo, ma su  un  piano  di  sudditanza  rispetto  alle

presenze dell'arte statunitense, tedesca o inglese.

 

MC: "Tu come ti definiresti?"

 

FV:  "Mi sono sempre preoccupato  della terminologia riferita al

mio  lavoro; solo se ne metti a  fuoco una precisa il tuo lavoro

puo' essere  visto  in  modo  adeguato,  altrimenti  le  vecchie

categorie  lo risucchiano nel risaputo.  A me viene riconosciuta

la paternita' del concetto di Esposizione in Tempo Reale, che ho

utilizzato  per marcare la  differenza di quello  che facevo sia

dagli  happening che dal teatro d'immagine. Un altro concetto, a

cui tengo molto e  per fondare  il quale  ho dovuto  scrivere un

libro,   e'  quello  dell'Inconscio  Tecnologico.  Sono  partito

dall'"inconscio  ottico" di Benjamin, che  e' incentrato su cio'

che strugge all'uomo, ma e' registrabile dagli strumenti, mentre

io, con  "l'inconscio  tecnologico",  ho  spostato  l'attenzione

sulla capacita'  autonoma  dei  mezzi  tecnologici  di  produrre

qualcosa  che  e'  gia'  strutturato  simbolicamente.  Il  mezzo

fotografico, per esempio,  produce immagini  che hanno  gia' una

valenza  simbolica, indipendentemente dall'autore sono, percio',

gia' linguaggio.

 

SP: "Come vedi questo interesse per la realta' virtuale?"

 

FV:  "Mi sembra che  ci sia un  interesse un po'  ingenuo per la

realta' virtuale,  perche'  essa,  per  quanto  complessa  possa

essere,  non raggiungera' mai la complessita' del nostro sistema

biologico. Il problema non e' di trovare dei punti di fuga dalla

realta',   ma  di  vederne  la  complessita'.  Mi  da'  fastidio

l'interesse per tutto cio' che e' spettacolarmente estraneo alla

nostra  normalita', come  se la  vita potesse  acquistare valore

solo  a contatto  con l'eccezionale.  Non abbiamo  bisogno dello

straordinario, della  Madonna che piange,  di miracoli plateali,

di incontri  ravvicinati, perche' l'eccezionale  e' qui, adesso,

e' dentro di noi."

 

MC: "Cosa ne  pensi  dell'interesse  sul  cyberbody,  su  questi

possibili  o immaginari interventi  della tecnologia all'interno

del corpo umano?"

 

FV: "A me interessa molto l'intervento del dentista."